La legge della libertà: evangelo e morale

Il libro che presentiamo, nella diversità della tradizione teologica degli autori, al fondo ha come punto di accordo proprio questo: la negazione del moralismo, del giuridismo, del ‘naturalismo’, per fondare la morale cristiana nel rapporto vivo con Gesù Cristo. Yannaras ripensa, con una sensibilità condizionata dalla filosofia esistenziale e dalla letteratura moderna, il retaggio della teologia ortodossa. Il nucleo di questa tradizione orientale può essere riassunto nell’affermazione che la chiesa è il fatto unico della manifestazione della fede. Ciò equivale a negare qualsiasi punto di partenza per il pensiero e l’agire cristiano che non sia radicato nell’esperienza vissuta di questo fatto. Nemmeno la Bibbia, astratta da questa esperienza, può essere un tale punto di partenza. Ci viene così indicato come l’agire cristiano trova la sua verità solo nella concretezza di un’esperienza ecclesiale. Mehl ci introduce invece alla tipica concezione protestante del rapporto tra legge e vangelo. Non è il caso di vedere qui una contrapposizione alla concezione cattolica. Come è stato spesso riconosciuto non si tratta della negazione della morale, ma del suo radicamento nella fede, unica sorgente della vita cristiana. C’è senz’altro una sottolineatura tipica di questo rapporto tra morale e vangelo. Questa sottolineatura costituisce tuttavia la positività e non la negatività di un’autentica tradizione teologica fondata nella fede. Aubert, infine, dopo una critica del giuridismo, della naturalizzazione e della disumanizzazione di una certa tradizione morale recente nella storia del cattolicesimo, tenta di riprendere i dati positivi e originali di questa tradizione: soprattutto quelli della partecipazione alla vita divina, dell’incarnazione e della carità operosa.